Parto in tromba, a tambur battente, a testa bassa, condividendo
con voi recenti studi, ancora in corso di pubblicazione, che evidenziano come
esistano fortissime similitudini tra il modo in cui un soggetto vive il suo
rapporto con la cucina e quello con il sesso.
Ora, battute scontate a parte, come quella che se così fosse,
allora io dovrei condurre una vita da asceta, gastronomicamente parlando, vi
riporto le conclusioni più significative di tale studio (la versione integrale
sarà pubblicata, con il titolo “The Bimbi effect: a voyeur-based approach to
the art of cooking”, nel numero di agosto di Scientific American).
Bene, la prima incontrovertibile conclusione è che tanto più si ha
distacco nel preparare il cibo, tanto più i soggetti osservati mostrano una
tendenza al voyeurismo sessuale spinto.
La seconda, altrettanto significativa, è che l’uso di acceleratori
nella preparazione dei cibi, esemplare, in tal senso, l’uso della pentola a
pressione, denota una tendenza all’eiaculatio precox tra le lenzuola.
L’ultima, ma non certo per importanza, è che trascurare il cibo
durante la sua cottura equivale a non inseguire il piacere del proprio partner,
ma esclusivamente il proprio. A tale proposito, si citano alcuni recenti casi
di cottura simulata, che evidenziano come il cibo reagisca a tale
trascuratezza illudendo il suo preparatore e facendogli credere di aver portato
a compimento ciò che compiuto non è, con evidenti ripercussioni negative al
momento della condivisione del cibo con i propri ospiti, dove portate in tavola
quello che voi credete essere uno stracotto e vi ritrovate, invece, con un
carpaccio.
E quindi ? Quindi, se volete interpretare la cucina secondo canoni
moderni, che vi permetta di avere successo con le ragazze ed i ragazzi e di
bullarvi con gli amici, dovete far vostro il concetto che "la
preparazione di un piatto parte con un'idea, passa per la spesa, prosegue con
la preparazione e termina con il lavaggio del pentolame".
Qualsiasi frattura lungo tale processo pregiudica la corretta
interpretazione, vi espone ai risultati dello studio e vi rende antipatici
(almeno a me, per quello che conta).
Innanzitutto, quindi, l'idea e qui, ahimè, c'è poco
da dire, dato che o l'idea vi viene, generalmente come una sorta di
folgorazione, oppure non c'è nulla da fare, se non suggerirvi di provare sotto
l'effetto di sostanze oppiacee.
Tenete però presente che l'idea è come la mela che cadde sulla
testa di Newton: è un qualcosa che va poi sviluppata, criticamente valutata,
oggettivamente analizzata e, alla fine, approvata, generalmente con quel mezzo
sorriso sulla faccia, riflesso condizionato che manifesta al mondo il
raggiungimento della conclusione e che sembra dica "ah si, dite che
sono un coglione ? Ora vedrete di cosa sono capace".
Bene, confezionata l'idea, godimento incluso, si passa alla fase
operativa che, ovviamente, non può che partire dalla spesa, fatta
secondo le moderne teorie al riguardo, che ruotano intorno al primo
principio fondamentale, sviluppato come corollario della teoria della
relatività universale (si, lo so, questo è un fatto ignoto ai più), che sostanzialmente
postula che "la vostra accelerazione nel passare davanti ad un banco
del mercato è indistinguibile localmente dagli effetti del campo gravitazionale
generato dal banco stesso".
Detta a parole mie, il postulato ci dice che non dobbiamo
semplicemente passare tra i banchi della spesa, ma dobbiamo stabilire
con loro un rapporto empatico, di piena compenetrazione, ed osservare
con attenzione ciò che essi vogliono proporci.
Gli effetti pratici, quindi, sono quelli di non prendere ciò che
ci serve con il solo obiettivo di "voglio uscire il prima possibile da
questa bolgia", ma al contrario di osservare, leggere, comparare e,
alla fine scegliere.
Mai e poi mai, in ogni caso, porre al venditore la famigerata
domanda "lei cosa mi consiglia ?", per il semplice motivo che
quello vi consiglierà quello che fa comodo a lui, come ad esempio "queste
fragole fantastiche, appena colte da madre terra, prodotto assolutamente
locale, guardi, tanto per farle capire, che le do da mangiare anche a mia
figlia" e che, se avessimo a disposizione un traduttore neuronale,
andrebbe invece letta come "prenda queste cazzo di fragole, che ce l'ho
sul banco da una settimana e non le vuole nessuno, guardi, tanto per farle
capire, che le darei da mangiare anche a mia suocera".
Completata la spesa, senza fretta e vissuta come un visita tra i
dipinti di un museo, tornate beatamente a casa e preparatevi alla fase
principale, la preparazione.
Erroneamente si è portati a credere che la preparazione si
realizzi, esclusivamente, nel "mettere insieme gli ingredienti in modo
che venga fuori ciò che la mia idea ha creato". Nulla di più sbagliato
e riduttivo. La preparazione è come un processo industriale, una catena di
montaggio, dove ogni cosa deve essere disponibile nel posto giusto e al momento
giusto. Nessuno costruisce, che so, una macchina, mettendo tutti i pezzi alla
rinfusa in uno scatolone e prendendoli, di volta in volta, come un bambino che
prende i Lego dalla sua scatola dei giochi.
Gli ingredienti devono essere pronti all'uso quando la
preparazione li richiede. Il tempo è il nostro credo, la sincronizzazione la
nostra fede.
Nulla di peggio, ad esempio, che avere l'olio caldo al punto
giusto e noi che ancora stiamo tagliuzzando le verdure che con tale olio devono
contrarre matrimonio. L'acqua deve bollire quando noi siamo pronti a cuocere la
pasta e non ore prima, avendo tutto il tempo di evaporare, ridursi in quantità,
e rilasciare, ed i romani qui mi capiranno, copiose quantità di calcio, quasi a
costituire un condimento alternativo.
Il modo di combinare gli ingredienti deve seguire la nostra idea e
non, al contrario, essere momento di liberazione dalle nostre frustrazioni, che
ci spinga a buttare tutti gli ingredienti nella pentola, quasi con un grido di
liberazione.
Eh no, cari miei, noi siamo il pianista e gli ingredienti sono le
note sullo spartito, che devono essere suonate nella giusta sequenza e con il
tempo richiesto. Non seguire il giusto incedere equivale a pigiare tutti
insieme i tasti del pianoforte, trasformando una sonata in un boato.
E non ho ancora parlato della cottura, cacchio ! Se la
preparazione sono i preliminari, la cottura è l'amplesso (le coccole,
ovviamente, pervadono l'intero processo, sia durante la preparazione, che
durante la cottura).
Non si cuoce, mai, mettendo l'ultimo ingrediente nella pentola,
coprendo con il coperchio ed uscendo dalla cucina con protervia, quasi a dire "ecco,
finalmente ! Ora cuocetevi, da bravi, che io devo scrivere quattro minchiate su
Facebook".
Cuocere è fare l'amore, non fare sesso.
La cottura va seguita. Il cibo deve sapere che " io sono
qui, qualsiasi cosa accada". Il cibo dentro la pentola va ogni tanto
girato - ecco le coccole - seguito, in modo da essere pronti a gestire
eventuali emergenze.
La cottura ha i suoi tempi, i suoi ritmi. Assecondateli e sarete
felici; alterateli e minerete per sempre il rapporto e non stupitevi, poi, se
scoprirete che il vostro cibo si fa cuocere, quando voi siete al lavoro, da
qualcun altro.
Bene, sperando che lo studio sia il vostro forte e che abbiate
fatto vostro il delirio narrativo, sappiate che vi resta, per potervi fregiare
del distintivo di "mastro cuciniere", di completare il tutto
con un corretto lavaggio di ciò che avete usato.
Così come il violinista virtuoso si prende cura, personalmente,
del suo violino, anche voi dovrete stabilire un rapporto morboso con tutta la
vostra attrezzatura. Farla lavare da qualcun'altro è come mandare i figli in
colonia: nessun divertimento e traumi infantili garantiti.
Lavate a mano, in lavastoviglie, ma lavate voi. Non delegate e,
mai e poi mai, lasciate la cucina senza aver ripristinato il corretto ordine o,
peggio ancora, con tutto ciò che avete utilizzato, sporco e unto, impilato in
creazioni geometriche paragonabili, per complessità ed assurdità, alle opere di
Maurits Cornelis Escher.
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