Ne sono certo, in ognuno di voi alberga lo spirito di un cuoco e vi esorto, allora, a farlo venire fuori !
Il mio ci albergava, e viste la dimensioni della mia pancia, direi che ci
stava pure comodo. Lo feci venire fuori tanti anni fa e da allora non ha mai
manifestato alcuna volontà di rientrare. Forse, ogni tanto, si è assopito, si è
preso una pausa di riflessione, ma poi, ogni volta, ritornava con piena energia
a manifestarsi, ed ogni volta con rinnovato entusiamo e voglia di fare cose
nuove e mirabolanti.
Spirito del cuoco, esci da questo corpo !
Manifestati, con discrezione, eventualmente, ma manifestati !
Se noi siamo ciò che mangiamo, a maggior ragione siamo anche ciò che
cuciniamo, ed io preferisco essere, che so, un “filetto di tonno scottato con cipolle di Tropea e riduzione di aceto
balsamico”, piuttosto che una “fettina
ai ferri con patate al vapore” (se poi c’è qualcuno che si accontenta di
essere “4 salti in padella”, allora
lo prego di abbandonare questa lettura. In fretta, please).
Ricordatevi che non c’è solo la vocazione alla santità, ma anche quella
alla gastronomicità e che, come anche immortalato dai grandi della pittura
italiana, la vocazione aspetta solo un segno per manifestarsi (non sarà
sfuggito ai più acuti, ad esempio, che la Vocazione di San Matteo del Caravaggio, è ambientata all’interno di una osteria e che una corrente di pensiero,
peraltro in forte ascesa, sostiene che la vocazione in questione era, appunto,
quella all’essere cuoco di detta osteria e non quella alla santità, cosa
peraltro suffragata dal successivo Martirio del Santo, a conferma che Matteo
aveva male interpretato il segno).
Bene, nella speranza che seguiate il mio ragionamento senza sghignazzare troppo
e senza nutrire dubbi sul mio precoce decadimento cognitivo, credo si tratti
solo di capire quale sia questo segno e se, per caso, non lo abbiate già
ricevuto, magari senza esserne consapevoli.
Cercherò di aiutarvi, per cui stendetevi sul lettino, chiudete gli occhi,
contate a ritroso da 3 a 1....ecco fatto, ora siete in un limbo neuronale, dal
quale proverò ad estrarre momenti della vostra vita, che altro non erano che i
segni cercati.
Avete mai pronunciato una frase del tipo “oggi avrei proprio voglia di qualcosa di diverso, di sfizioso” ?
Avete mai manifestato pensieri del tipo “se
solo avessi un po’ di tempo, mi piacerebbe provare quella ricetta che ho visto
in tv” ?
Se avete risposto SI, anche ad una sola delle due domande, allora,
credetemi, siete sulla buona strada. Certo, per contro, se avete risposto NO ad
entrambe, o peggio ancora non le avete nemmeno capite, le domande, allora
risvegliatevi pure, alzatevi dal lettino ed accettate con serenità il vostro
destino, cupo, molto cupo...
Bene, sappiate che da qui in avanti la lettura è permessa solo ai
predestinati, ai vocati, ai cuochi in
pectore.
Per prima cosa, un piccolo ripasso sulla triade, non quella capitolina, ma
quella del bravo ed operoso cuoco. Tre, numero magico, anche la cabala ce lo
conferma, e noi non possiamo che adottarlo.
Tre dimensioni, per un olismo che ne trascende le singolarità. Tre
dimensioni, che se correttamente fatte proprie, vi porteranno nell’olimpo della
gastronomia, status del quale vi
potrete poi bullare con gli amici.
Tecnica: sono le basi, ciò che vi permette di padroneggiare la materia, di agire
in sicurezza e di raggiungere la necessaria autostima. E’ tecnica, per esempio,
saper usare la giusta temperatura di cottura, montare la maionese, emulsionare
olio e aceto, far crescere un soufflè
senza farlo poi miseramente crollare su se stesso. La tecnica si acquisisce con
lo studio e si fa propria con la pratica, per cui mettete in conto padelle
bruciate, maionesi impazzite, fumo in cucina, improperi dei vicini.
Attrezzatura: questa si compra, senza eccedere e senza diventare vittime dello shopping compulsivo. L’attrezzatura è al servizio delle altre due dimensioni, senza le quali non serve a nulla. Non si diventa Caravaggio comprando pennelli fantastici e non si diventa Arturo Benedetti Michelangeli comprandosi uno Steinway. Ma è anche vero, però, che una attrezzatura non adatta può vanificare una tecnica perfetta ed una creatività ai massimi livelli. Caravaggio non avrebbe dipinto la Cena in Emmaus se avesse avuto a disposizione solamente una pennellessa presa da Auchan.
Creatività: se la tecnica si può affinare e l’attrezzatura si può comprare, la creatività è un dono, che si può coltivare, certo, ma che si può portare alla luce solo se è presente, in embrione, dentro di noi. La creatività è fantasia, che deve comunque essere indirizzata da tecnica ed attrezzatura. Le creatività, però, si fonda su alcuni principi fondamentali, che dovrebbero guidarci nel non creare combinazioni prive di senso, con sapori talmente contrastanti da annichilirsi a vicenda. La creatività non è voler stupire a tutti i costi, con ricette del tipo “filetto di cernia alla crema pasticcera, profumato con peperoncino di cayenna, su riduzione di Nesquik, servito su cialda croccante alla liquerizia ed infusione di burro di arachidi”, ma leva di incontro di culture (oddio, non ce l’ho fatta, mi è scappata la parola “cultura”) gastronomiche differenti, alla ricerca di un loro connubio, si innovativo, ma sostenibile, almeno dalle papille gustative.
I primi passi non saranno semplici; dovrete rompere gli indugi, farvi
forza, è provare a cucinare qualcosa, qualsiasi cosa, se non altro per
impratichirvi con la disciplina e con la relativa attrezzatura.
Ricordatevi che anche Mozart ha cominciato strimpellando sui tasti del
pianoforte, e che le famose sonate per
pianoforte le ha composte non certo il primo giorno. Partite allora con
piatti semplici, con l’obiettivo di affinare la tecnica, almeno nei suoi
elementi base.
La frase “non sa nemmeno prepararsi
un uovo al tegamino” è portatrice di grande saggezza. Saper fare un uovo al
tegamino, infatti, implica il capire quando l’olio è caldo al punto giusto,
quanto ce ne vuole, come si rompe un uovo, quanto deve cuocere, e quando e dove
si deve mettere il sale.
Fare un uovo è come tracciare il cerchio di Giotto. Ed un ovale sghembo è
sempre in agguato.
Partite quindi con questo tipo di piatti, tenendo a mente che la capacità
tecnica è una qualità importante, non la sola, ma importante. Acquisite in modo
graduale la giusta manualità e la sicurezza nella preparazione. Sui piatti semplici
dovete puntare al 30 e lode; il 18, semmai, lasciatelo alle preparazioni più
complesse.
Passiamo all’attrezzatura. Ricordo che, tanti anni fa, quando le automobili
avevano ben poco di serie, c’era chi si comprava l’autoradio ancora prima di
avere la vettura sulla quale montarla. La comprava e se la teneva li, in bella
vista, come un qualcosa da adorare tutti i giorni. Ecco, per l’attrezzatura non
fate lo stesso sbaglio; partite con il minimo indispensabile, quando serve (e magari
datevi una letta a questo post), e procedete per gradi.
Se potete, seguite il detto “chi più
spende, meno spende” e, almeno per le cose importanti, magari prendete
pochi pezzi ma di qualità. Passate decisamente oltre agli scaffali dei
supermercati dove vi vendono un set di padelle anti-aderenti a 10 euro e,
invece, fate un salto in qualche negozio di attrezzature da cucina e prendetevi
tre padelle di misura crescente, di buona qualità. Idem per i coltelli, niente
ceppi da 40 pezzi a 10 euro, ma tre coltelli, buoni, che non perdano il filo ad
ogni taglio e che, ragionevolmente, vi accompagneranno per tutta la vostra vita
da cuoco e, se vi dice bene, ve li potrete portare anche nell’aldilà (il più
tardi possibile, ovviamente).
Infine la parte più interessante, la creatività. Partite pure seguendo
ricette scritte da altri. Non c’è nulla di male e, anzi, per affinare la tecnica
è il modo migliore. Cimentatevi in preparazioni classiche e valutate
criticamente i progressi.
Quando sarete soddisfatti dei progressi, cominciate a giocare con la
creatività. Partite dalle ricette sulle quali avete fatto pratica e provate, ad
esempio, ad aggiungere un ingrediente, a sostituirne uno con un altro. Provate
a combinare ricette simili e provate, anche, con moderazione, a giocare con
sapori contrastanti, ad esempio introducendo un gusto dolce su un piatto
salato, che non vuol dire mettere una cucchiata di crema pasticcera su un
filetto di manzo, ma di sfumare un gusto deciso con uno più morbido, come ad
esempio accompagnare un carpaccio di pesce con un frutto.
Ricordatevi che la creatività, più di ogni altro, è un percorso, la cui
metà si sposta con il viaggio. Non esiste un traguardo, solo una crescita
continua. Esitono però dei paletti al nostro percorso, quei paletti che ci
devono far capire quando la creatività rischia di trasformarsi in un delirio del
gusto, che forse supirà i vostri commensali, ma non necessariamente in termini
positivi.
Per la creatività inspiratevi alle arti e fate proprio, almeno all’inizio,
il concetto di genere. Vi piacerebbe
un quadro del seicento con alcune parti in perfetto astrattismo ? Vi sentireste
a vostro agio ascoltando un concerto per violino di Mozart, dove alcuni
movimenti sono sostituiti da brani dei Jalisse ? Non credo, per cui cercate la
vostra strada e seguitela; nel caso abbandonatela per seguirne una nuova, ma
non mischiatele fra loro, o almeno fatelo con molta attenzione, giusto per lasciare
viva la speranza di realizzeare quella alchimia che vi consegnerà all’olimpo
dei cuochi e che vi permetterà di essere ricordati come colui che ha inventato
un nuovo modo di cucinare.
Bene, siamo arrivati alla fine. Che dire, prendete un bel respiro, fate outing, condividete la vostra rinascita
con chi vi sta vicino, ignorate il loro sogghigno, passate oltre al loro
stupore ed agite.
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