Oggi, amici di forchetta, puro marketing,
ovvero “l’arte di complicare
laddove regna la semplicità”, di nomare (oggi sono poetico, poetico e
antico) un piatto in modo tale che, nel tempo della sua attesa, voi potete
immaginarvi tutto e il suo contrario, salvo poi scoprire che quello che avete
ordinato come “battuto di carne, con
riduzione di pomodoro in agrodolce, salsa all’uovo ed anelli di cipolla
saltati, in abbraccio di pane”, altro non è che un Big Mac di Mac Donald.
Che ci volete fare, siamo nell’era della vendita e, come ci insegano i
saggi, la vendita comincia con il creare un’emozione, non un bisogno (veramente
non ho assolutamente idea se i saggi dicano questo, ma mi piace pensarlo).
Come dire, non importa se quello che vi arriva nel piatto è una merda,
l’importante è come avete vissuto la sua attesa. Pura trepidazione, ecco
l’obiettivo.
“Spaghetti al sugo” e “Grano duro lavorato al bronzo e stirato,
in ristretto di polpa di pomodoro” sono la stessa cosa, ma volete mettere
la tempesta neuronale che vi susciterà la versione marketingara (che, stranamente, assomiglia a marchettara...) ? Tempesta che peraltro autorizzerà il ristoratore
a farvi pagare cento quello che vale dieci. Non male come esempio di
offuscamento del valore.
Ma non finisce qui, perchè se la scelta del nome appartiene al corso di “Unnecessary names”, è solo nel corso “How to deceive Your commensals” che si
raggiunge la piena maturità.
Eh si, amici, perchè a molti non basta inerpircarsi sui sentieri della
semantica, prediligiendo le traiettorie curvilinee rispetto a quelle diritte, a
questi molti serve qualcosa di più, serve dare il colpo di grazia, quello che
obnubila definitivamente il commensale, che lo metta in una situazione di tale
inferiorità da annullarne le capacità critiche.
Se, anche solo per una volta, le vostre sinapsi hanno dato strada ad un
pensiero del tipo“come posso solo
immaginare di dire che questo piatto fa schifo se non ho nemmeno capito cosa
sto mangiando ?”, allora avete perso. In partenza. Inutile illudersi.
L’apparire, per voi e vostro malgrado, ha trionfato sull’essere;
l’ontologico è stato spazzato via dall’ontico. Martin Heidegger ne soffrirà, ma
sono sicuro che se ne farà una ragione.
Scusatemi, mi sono lasciato trasportare dalle minchiate; torno a bomba sui
contenuti del corso avanzato.
Dicevo, allora, che a molti non basta lambiccarsi il cervello per trovare
un modo di trasformare una frase di tre parole in una di non meno di quindici,
nella speranza che la trasformazione attragga l’ospite nello stesso modo in cui
una mezza chiappa sui manifesti attrae il voyeur bavoso all’interno di un
cinemetto di infimo ordine.
No, il nome è solo il punto di partenza, poi si passa agli ingredienti, che
non sono mai quelli che ognuno di noi, meschino, pensa di comprare. Illusi che
non siete altro, l’abile venditore vi declamerà prodotti che voi mortali potete
solo anelare, perchè quei prodotti ce li ha solo lui, perchè sono rari come lo
sono le stagioni di una volta (che è risaputo oramai non esserci più), perchè a
lui gli li ha dati un contadino, che è morto subito dopo, senza lasciare eredi
e, semmai ci fossero, le sue memorie sono andate distrutte in un incendio.
Gli esempi si sprecano, e per alcuni ne ho avuto giusto conferma qualche
giorno fa, in un ristorante che, prima o poi, porterò al publico ludibrio in
quel di Trip Advisor:
- l’olio non è mai un buon olio extra-vergine, no, figuriamoci, è un olio che, come minimo si è classificato tra i primi dieci d’Italia, non si sa in quale campionato, ma non importa;
- il pistacchio, e qui vado sul classico, è sempre di Bronte, tanto che a qualcuno verrà da chiedersi se ‘sto Bronte sia un paese o, piuttosto, un continente, tanti sono i pistacchi che produce;
- il pomodorino è – avete già indovinato, vero ? – inevitabilmente di Pachino, con la naturale conseguenza che, se Bronte è un continente, Pachino come minimo è un intero pianeta;
- il pane non è semplicemente comprato al supermercato, figuriamoci, ma lievitato naturalmente, con lievito madre, cotto a legna, brematurato come fosse antani. Per voi ha lo stesso sapore del pane comprato al supermercato ? Siete coglioni voi che non sapete apprezzarne la differenza, ovviamente;
- tutti i formaggi, dico tutti, sono sempre prodotti dal caseificio che “lavora come si lavorava una volta”, incluse naturalmente le condizioni igeniche, o semmai dal contadino, che conosce solo lui, of course, e che, aggiungo io, magari nutre le bestie con mangimi alla diossina.
Si potrebbe continuare, ma mi fermo qui, tanto avrete già capito.
Spiazzare, stordire, distogliere l’attenzione da ciò che realmente conta –
quello che mangio è buono o fa schifo – a favore di ciò che è premessa, non
conclusione.
L’olismo del piatto è spazzato via dalla solitudine dei singoli ingredienti
e, chissà poi perché, ciò avveiene quasi esclusivamente nel mondo della
gastronomia.
Pensate, domani vi andate a comprare una camicia, e il commesso, sentita la
vostra richiesta, vi guarderà con accennato disgusto, dicendo che al più vi può
mostrare un “lavorato di fibre, con
variegatura di colori e guarnizione di dischetti in plastica forati”.
Andate dal ferramenta, nella pia illusione di cavarvela con un paio di
minuti per acquistare, che so, un martello, e l’addetto vi propone una “fusione di metallo in forma
tridimensionale, con julienne in legno” (il legno, naturalmente, preso in
un bosco biologico e tagliato dal suo amico boscaiolo, che taglia gli alberi
come si tagliavano una volta, con la scure, come faceva Gedeone in “Sette spose per sette fratelli”).
Insomma, avete capito, non nego che la presentazione di una cosa abbia il
suo valore, ma solo che questo valore deve, necessariamente, essere secondario
a quello della cosa stessa.
Benché io stesso, ogni tanto, o forse spesso, cedo alla tentazione, e
propongo ricette con nomi che sembrano dettati da un uso smodato di sostanze
psicotrope, vi esorto comunque ad una resistenza, attiva e passiva, ai
tentativi di ammaliamento basati sull’esoterismo linguistico, preferendo di
gran lunga quelli basati sul sapore, verso i quali dovete, al contrario, essere
perfettamente permeabili.
Valorizzate i vostri piatti, anche attraverso nomi alternativi, ma senza
esagerare. Date giusta evidenza agli ingredienti, ma solo se questi se la
meritano: se il pomodorino lo avete preso da Lidl a 0,99 euri alla tonnellata,
evitate di dire che arriva direttamente da Pachino, portato da una vostra
lontana zia che, guarda un po’, li coltiva come si coltivavano un volta.
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