Beh, diciamolo pure, i rigatoni “co’ a pajata” (qui la
forma dialettale è d’obbligo) sono, per un romano, una sorta di sacralità, un
qualcosa che appartiene alla cultura e, oserei dire, al DNA stesso.
La pajata non
si tocca, direbbe qualcuno, anzi "nun
se tocca" e, visto che anche io sono sensibile alle tradizioni, ma non
riesco a placare del tutto i pochi guizzi di fantasia che ancora ho, mi sono
preso la piccola libertà di abbinare ai rigatoni il pecorino romano - al
solito, quello di Brunelli
- sia nella forma di una crema, che aggiunto durante la mantecatura, in modo da
dare ancora più verve ad un piatto
che, difficile a credersi, ha un sapore avvolgente e deciso, ma non troppo come
forse ci si aspetterebbe.
La pajata, per
chi volesse fare un minimo di ripasso, è l'intestino tenue del vitello da
latte, del vitello, quindi, che è stato nutrito solamente dal latte della
madre. L'intestino viene normalmente lavato, ma in modo da non eliminare il chimo, la sostanza liquida e piuttosto
densa che viene prodotta durante la digestione.
Che altro dire, se non che la preparazione ha seguito la liturgia, con l'accurata pulizia della pajata - armatevi di santa pazienza o
impietosite il vostro macellaio - e la sua lunga cottura nel pomodoro, dopo
averla fatta rosolare in un soffritto e bagnata con del vino bianco, fino ad
ottenere una salsa molto densa.
Cottura ben al dente della pasta e condimento finale, con
giusta una breve mantecatura, dato che la natura della salsa ne riduce la
necessità.
Concludo dicendovi che i rigatoni sono quelli del
celeberrimo Pastificio Cavalieri,
del quale credo proprio non serva aggiungere nulla in quanto a qualità.
Ingredienti (per 6 persone)
Per la pasta
- Mezzo chilo di rigatoni
- Otto etti di pajata
- Otto etti di pomodori pelati
- Uno spicchio d'aglio
- Una piccola cipolla
- Un terzo di costa di sedano
- Un bicchiere di vino bianco
- Quattro cucchiai di pecorino romano grattugiato
- Olio extravergine di oliva
- Sale e pepe nero
Per la crema pecorino romano
- Due etti e mezzo di panna fresca
- Un etto di pecorino romano grattugiato
- Pepe nero
Partite ovviamente con la preparazione della pajata, la cui pulizia è piuttosto lunga
e noiosa, soprattutto se non l'avete mai fatta, motivo per cui vi suggerisco di
impietosire il macellaio, magari ordinandola qualche giorno prima e chiedendo a
lui di pulirla e prepararla.
Se fallite nell'intento, allora armatevi di santa
pazienza e procedete come segue.
Per prima cosa procedete alla spellatura, eliminando la pellicola esterna, quasi invisibile, che
riveste l'intestino, cosa che farete incidendo con un coltellino uno dei capi del
budello e sollevandone un piccolo
lembo pellicola, separandola dalla parte carnosa e poi, afferrandola con le
dita, tirandola delicatamente, dall'alto in basso, fino a separarla
completamente dall'intestino. Per capirci, è un po' come se doveste rovesciare un calzino dopo il lavaggio.
Eliminata tutta la pellicola esterna, tagliate la pajata in pezzi lunghi all’incirca una
ventina di centimetri, che ripiegherete a forma di ciambella, sovrapponendo le
due estremità di un paio di centimetri e legandole con dello spago da cucina,
in modo che il chimo non esca durante
la cottura.
Se volete, cosa che peraltro io ho fatto, potete lasciare
un paio di pezzi senza legatura, in modo che il chimo, durante la cottura, abbia modo di trasferirsi al pomodoro,
insaporendolo maggiormente.
Fate ora un classico battuto con l’aglio, la cipolla e il
sedano, tritandoli piuttosto finemente e mettendoli poi in una casseruola
insieme a quattro cucchiai di olio extravergine di oliva.
Portate sul fuoco, a fiamma media, e fate soffriggere per
circa cinque minuti, quindi unite la pajata,
fatela rosolare in modo uniforme per altri cinque minuti, facendo attenzione
però che questa non prenda colore, quindi unite il vino bianco e fatelo
sfumare.
Aggiungete infine i pelati, che prima avrete rotto, o meglio sfranto, come si dice a Roma, con le mani. Volendo, in alternativa,
potete usare altre varianti, come ad esempio la polpa a pezzettoni, mentre
direi di evitare le varie versioni della passata di pomodoro, che normalmente
ha già subito cotture preventive, che a mio avviso non la rendono adatta ad ulteriori
cotture prolungate.
Salate e pepate, poi abbassate la fiamma al minimo e fate
cuocere dolcemente per due ore e mezza, in modo che la salsa avrà il tempo di
restringersi e di incorporare gli aromi della pajata, che al contempo diventerà tenerissima.
Se per caso vi foste regalati uno Slow Cooker, allora questo è il momento giusto di usarlo, per una cottura ancora
più gentile e delicata.
Quando la salsa è pronta, travasatela in una padella,
ampia abbastanza da poter poi contenere la pasta, e tenetela al calduccio.
Mettete in una ampia pentola l'acqua per la pasta,
salatela, portatela sul fuoco e, quando bolle, buttate le pasta, facendola
cuocere, ma mantenendola ben al dente.
Mentre la pasta è in cottura - un rigatone di buona
fattura richiede almeno dodici minuti di cottura - preparate la crema di
pecorino, mettendolo grattugiato in un pentolino, insieme alla panna fresca e a
una generosa macinata di pepe nero.
Portate il pentolino sul fuoco, a fiamma minima - in
alternativa, meglio ancora, potete procedere con una bagnomaria - facendo
raggiungere un bollore appena accennato e girando di tanto in tanto in modo da
agevolare lo scioglimento del formaggio.
Proseguite con il bollore leggero per non più di due o
tre minuti, quindi spegnete e, usando un colino a maglie fitte, setacciate la crema - non è fondamentale, ma se vi va di
farlo, è meglio - raccogliendola in una ciotola e rimettendola poi nel
pentolino, visto che la dovrete servire ben calda. Ricordatevi di girarla di
tanto in tanto, in modo da romperne la pellicola superficiale che tenderà a
formarsi.
Quando mancano pochi minuti alla fine della cottura,
portate la padella con il condimento sul fuoco, a fiamma minima, e fate
scaldare dolcemente, in modo che il condimento sia caldo quando vi unirete la
pasta. Prendete anche una tazza e riempitela con l’acqua di cottura della pasta,
ricca di amido, che vi servirà per la mantecatura finale, anche se per questo
tipo di condimento, ben denso e cremoso di suo, potrete anche farne a meno.
Un modo alternativo, e direi anche preferibile visto che
non vi costringe a mettere da parte l'acqua di cottura è quello di prendere la
pasta direttamente dalla sua pentola, usando un forchettone o un mestolo a
seconda del formato della pasta, e unirla direttamente nella padella con il
condimento. In questo modo avrete a disposizione tutta l'acqua di cottura,
senza dover fare considerazione su quanta ve ne serva, con il rischio di
sbagliare.
Quando la pasta è cotta, scolatela e travasatela nella
padella dove l’aspetta il suo condimento, quindi riportatela sul fuoco, alzate
la fiamma al massimo, e mescolate in modo da procedere con la mantecatura,
aggiungendo, se lo ritenete e gradualmente, l'acqua di cottura messa da
parte.
Fate in modo che la pasta risulti cremosa, interrompendo
la mantecatura quando vedete che il fondo comincia, per effetto della completa
evaporazione dell’acqua residua, a ridursi troppo, quindi spegnete e unite il
pecorino grattugiato, mescolando nuovamente per armonizzare il tutto.
Come regola generale, direi che la mantecatura dovrebbe
durare non più di un paio di minuti, in modo da avere la giusta cremosità,
senza però eccedere nella cottura della pasta.
Coprite la padella con il coperchio, giusto il tempo di
mettere la crema di pecorino, ben calda, nei rispettivi piatti - mettetela
all’ultimo momento, altrimenti questa si fredderebbe piuttosto rapidamente -
quindi impiattate, facendo in modo che i rigatoni non ricoprano completamente
la crema di pecorino, che dovrà quindi rimanere in parte visibile.
Distribuite ancora un poco di pecorino, facendolo cadere
a pioggia, quindi portate velocemente in tavola, per evitare che la pasta si
asciughi, perdendo la sua cremosità (non vi dico nemmeno di guarnire, dato che
questo piatto si fonda anche sulla sua rusticità).
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