18 dicembre 2019

Baccalà cotto a bassa temperatura e bruciato, avocado e maionese di baccalà allo zafferano e arancia



Puntuale come la scadenza delle tasse, ritorno con il baccalà, del quale sono sempre più innamorato e che oramai cuocio quasi sempre a bassa temperatura, dato che ritengo questo modo il migliore per esaltarne sapore e consistenza.

Il baccalà l’ho cotto sottovuoto, a 58° per venti minuti, insieme alla scorza di arancia, che dona al pesce un bel profumo e una nota di freschezza, condendolo poi a fine cottura solamente con un filo d’olio extravergine di oliva e con del sale marino.

A fine cottura, dopo averlo condito come detto qui sopra, l’ho poi bruciato in superficie usando un caramellizzatore, in modo da avere una nota che ricordasse quella della classica cottura alla piastra.

Con il liquido rilasciato in cottura dal baccalà ho preparato una maionese, procedendo come per quella tradizionale (la maionese, lo ricordo, è un'emulsione stabile di proteine e grassi, per cui si può usare, al posto delle uova, qualsiasi liquido che abbia un contenuto significativo di proteine), unendo anche il succo dell’arancia e lo zafferano, in modo che l’agrume, oltre che nel sapore, fosse richiamato anche dal colore.

Infine, l’avocado - sto cominciando ad apprezzarlo un poco alla volta, utilizzandolo al naturale, come base per il piatto, che con il suo sapore morbido e leggermente grasso, ben completa il piatto.

27 novembre 2019

Tonnarelli di calamaro, foglie di rapa e pistacchi



Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Quasi una fotocopia di questa ricetta, dove questa volta, in aggiunta ai calamari, ho sfruttato le foglie delle rape, che spesso vengono gettate e che, invece, sono buonissime.

I calamari usati a crudo, quindi, dai quali ho ricavato dei tonnarelli - o spaghetti quadrati, che dir si voglia - che ho condito con sale marino, pepe di Sichuan e olio extravergine di oliva.

Le foglie delle rape le ho ridotte in crema, dopo averle velocemente bollite e passate in acqua ghiacciata, lavorandole solamente con la loro acqua di cottura e giusto un filo di olio extravergine, unendole poi ai tonnarelli di calamaro.

Infine, come elemento croccante, i pistacchi, grossolanamente ridotti in pezzi e uniti anch’essi ai tonnarelli.

Concludo con una nota sui calamari, che suggerisco di prenderli non troppo grandi, in modo che i tonnarelli risultino di piccole dimensioni e siano più gradevoli e cedevoli al morso.

18 novembre 2019

Zuppa di ceci, broccolo siciliano in due consistenze e orzo perlato

L’autunno è oramai arrivato, l’inverno si avvicina, per cui non potevo non cimentarmi nella prima zuppa della stagione, che questa volta ho preparato in modo diverso, cuocendo tutti gli elementi separatamente e poi unendoli solo per una rapida armonizzazione finale, in modo che tutti i sapori rimanessero ben distinti e percepibili.

Per quando riguarda i legumi, la scelta questa volta è caduta sui ceci, che amo particolarmente, e che ho in parte lasciati interi e in parte ridotto in crema, utilizzando solamente la loro acqua di cottura, dato che l’olio, aromatizzato per infusione con aglio e rosmarino, l’ho aggiunto solamente a crudo, poco prime di servire.

Insieme ai ceci, il broccolo siciliano, in due consistenze, visto che la parte più consistente l’ho cotta in acqua a bollore e poi aggiunta ai ceci, mentre la parte estrema delle cime, quella più verde, l’ho usate a crudo, al momento dell’impiatto.

Infine, l’orzo perlato, cotto separatamente nell’acqua di cottura dei ceci e, come detto all’inizio, aggiunto a questi solo a cottura ultimata, in modo che buona parte del suo amido non venisse rilasciato nei ceci - a me il sapore dell’amido non piace per nulla - ceci quali ho delegato il compito di dare cremosità al piatto.

Concludo la premessa dicendovi che l’olio aromatizzato lo potrete naturalmente preparare in quantità maggiore, considerando che si manterrà molto a lungo e che potrà tornarvi utile in altre preparazioni.

12 novembre 2019

Tartare di controfiletto di manzo all’arancia con pralinatura di mandorle, maionese al mango, pecorino di fossa e cremoso di melagrana



Nuova ricetta della serie “compro una maggiore quantità di quello che serve al solo scopo di poterci poi fare anche qualcos’altro”, che questa volta usa il controfiletto, comprato per esplicita richiesta di moglie e figlia.

La base del piatto è quindi la carne, lavorato a crudo con olio extravergine di oliva, un poco di pepe di Sichuan, dal sapore più delicato rispetto al pepe classico, la scorza finemente grattugiata dell’arancia e, per finire, del sale marino.

La carne, dopo averla lavorata, l’ho trasformata in praline, rivestendole poi con un sottilissimo strato di mandorle passate il tritatutto, in modo da ridurle in una sorta di farina, con la quale, come da titolo, ho realizzato la pralinatura.

Ad accompagnare le praline, una maionese leggera, preparata usando solamente l’albume dell’uovo e il succo di mango - vi anticipo che vi servirà una centrifuga o un estrattore per succhi - che le dona una piacevole nota fresca e dolce, oltre ovviamente all’olio di semi, poco succo di limone e un pizzico di sale.

Poi, per un’ulteriore nota di freschezza, un cremoso di melagrana, lavorato completamento a freddo, leggermente acidulato con dell’aceto di mele e addensato usando la gomma di xantano, per il quale vi sarà d’aiuto un estrattore per succhi, anche se potrete cavarvela anche con un classico spremi agrumi.

Infine, un poco di pecorino di fossa, dal sapore ben deciso e che crea un bel contrasto con gli altri elementi del piatto.

Chiudo con una nota sulle quantità, che specialmente per la maionese e il cremoso, saranno in abbondanza rispetto a quelle effettivamente utilizzate; d’altronde, per non pregiudicare la loro lavorazione, al di sotto di certi valori non è possibile scendere.

9 novembre 2019

La seconda vita del brodo di carne


Come spero si deduca dal nome del piatto, questa è una ricetta che non va preparata apposta, ma come recupero della preparazione di un classico brodo di carne, che nello specifico io avevo preparato per soddisfare una voglia di tortellini di moglie e figlia.

Per la carne, ho scelto dei tagli di prima e seconda scelta, nello specifico la noce e il campanello, scelta fatta sia per avere un brodo più magro, ma anche per compensare il fatto che, mettendo per la preparazione del brodo la carne a freddo nell’acqua, questa tende a perdere molti dei suoi umori, diventando piuttosto dure e asciutta.

Poi ho aggiunto la classiche verdure - carota, cipolla, sedano, patata, pomodoro e finocchio - qualche chiodo di garofano, sale grosso e ho proceduto con la preparazione, fatta nel mio caso con la pentola a pressione, cuocendo il tutto per quaranta minuti.

Ovviamente, come detto all’inizio, voi userete il vostro brodo, fatto come lo fate abitualmente, visto che, appunto, questo non va preparato specificatamente per questo piatto, che ne rappresenta invece una seconda opportunità.

Con le verdure ho preparato una passata, frullandole insieme a un poco di olio extravergine di oliva e a una generosa macinata di pepe nero, aggiungendo quel tanto che basta di brodo a dare al tutto la giusta densità. Al momento dell’impiattamento, poi, ho aggiunto qualche fogliolina di timo fresco, che amo particolarmente, sia per il suo profumo, che per il sapore.

La carne, invece, dopo aver eliminato da essa i nervi e i residui di grasso, l’ho battuta al coltello, come se dovessi fare una classica tartare, condendola con sale marino, olio extravergine, un poco di paprika dolce e di pepe nero.

Dopo averla battuta a una consistenza piuttosto fine, ci ho formato dei cubi - vi sarà molto utile un piccolo coppapasta quadrato - che ho poi velocemente rosolato in una padella molto calda, con solo una piccola aggiunta di olio extravergine, in modo da formare una crosticina su ogni lato dei cubi.

Infine, come unico elemento preparato specificatamente, dei dadini di pane, tostati in padella con olio extravergine di oliva e pepe nero, che danno croccantezza a un piatto complessivamente morbido.

Insomma, un piatto decisamente ecosostenibile, facile e veloce da preparare e che riduce quelli che spesso consideriamo scarti.

7 novembre 2019

Passata di broccolo siciliano alla colatura di alici, con le sue cimette crude, burrata, alici caramellate e croccante di pane al prezzemolo



Ancora un connubio tra mare, campagna e pastorizia, che amo particolarmente, dato che consente di giocare con i contrasti, sia nei sapori che nelle consistenze.

La base del piatto è il broccolo siciliano, ridotto in passata, usando la sua acqua di cottura, l’olio extravergine e la colatura di alici. Del broccolo ho poi messo da parte le cimette più piccole e tenere, che ho usato a crudo - sono buonissime, credetemi - ungendole e salandole leggermente, come completamento della passata, in modo da avere due diverse consistenze

Poi la burrata, o meglio, per la stracciatella - io ho usato quella di bufala, ma voi potete naturalmente scegliere diversamente - e le alici, che dopo averle dissalate per bene, le ho caramellate con lo zucchero semolato, usando un caramellizzatore e procedendo esattamente come si fa per la creme brulèe. in modo da avere sia un contrasto sulla consistenza, che sul sapore, dove quello deciso delle alici viene stemperato dalla dolcezza dello zucchero caramellato.

Infine, come ulteriore elemento croccante, la mollica di pane al prezzemolo, tostata in padella a secco e distribuita al momento dell’impiattamento.

22 ottobre 2019

Stecco di gambero rosso, polvere di spinaci e mandole, maionese di baccalà



Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Lo ammetto, questa ricetta è nata per non sprecare alcuni elementi che avevo preparato per quest’altra, spreco che non è più di questi tempi, dove la giusta attenzione alla sostenibilità è, fortunatamente, sempre più condivisa.

Il gambero rosso, preso tempo fa in quel di Anzio nella pescheria Amore di Mare e saggiamente abbattuto, l’ho usato a crudo - non credo esista modo migliore per gustare i gamberi - leggermente condito con un velo di olio extravergine di oliva e del sale marino.

Ho poi preparato una polvere di spinaci, ottenuta essiccandone delicatamente le foglie in forno, poi passandole al mixer e infine setacciando il tutto, in modo da ottenere una consistenza finissima, come appunto fosse polvere.

Più o meno nello stesso modo, ho lavorato le mandorle pelate, tritandole il più finemente possibile e poi setacciandole, per avere la stessa consistenza della polvere di spinaci.

Dopo avere preparato le due polveri, le ho combinate e ci ho rotolato dentro i gamberi, dopo averli infilzati con dei piccoli spiedini in bambù, in modo da realizzare lo stecco, che consente di mangiare i gamberi come Finger Food, senza dover utilizzare altro tipo di posate.

Infine, a completare il piatto, una maionese fatta con il liquido rilasciato dal baccalà durante la sua cottura sottovuoto (si veda la ricetta menzionata all’inizio), procedendo come per quella tradizionale, usando il liquido di cottura come fonte proteica, qualche goccia di limone e l’olio di semi di arachide, preferito a quello extravergine di oliva, che le avrebbe conferito un sapore troppo deciso e in parte pungente.

Ovviamente, se non avete il liquido di cottura - io, personalmente e tutte le volte che posso, lo surgelo proprio in previsione di utilizzi futuri - potete preparare una maionese tradizionale, usando però solo l’albume, in modo da renderla più fresca e leggera.

Spaghetti ‘nduja, burrata e mollica di pane al prezzemolo



Mi era venuta un’improvvisa voglia di piccante e, avendo qualche giorno prima provvidenzialmente comprato della ‘nduja, ho pensato che la mia voglia potesse essere soddisfatta da un primo, bello piccante, che peraltro mi dava la scusa per non condividerlo con moglie e figlia, che con il piccante non vanno molto d’accordo.

La semplicità era d’obbligo, quindi, e l’unica concessione è stata quella di abbinare alla ‘nduja, passata in padella con poco olio extravergine di oliva, in modo da sfaldarla, la stracciatella di bufala (la parte interna della burrata, per capirci), che con la sua morbidezza e il suo sapore, stempera leggermente l’aggressività del meraviglioso insaccato calabrese.

Infine, come elemento croccante, la mollica di pane al prezzemolo, tostata in padella a secco - la ‘nduja è già grassa di suo - e poi unita alla pasta solo al momento dell’impiattamento, quasi fosse del parmigiano.

Tutto qui, per una ricetta semplice e veloce, dai pochi ingredienti e con gusto decisamente prorompente.

Concludo, dicendovi che come pasta ho utilizzato la Spaghettoro di Verrigni, che mi era rimasto giusto nella quantità per soddisfare la mia voglia.

19 ottobre 2019

Baccalà cotto a bassa temperatura al profumo di limone e origano, con la sua pelle e la sua maionese, briciole di spinaci, pinoli tostati al sale e cremoso di melagrana



Non so voi, ma il baccalà, oltre ad essere da me amato, è uno dei pesci che più beneficia della cottura a bassa temperatura, in grado di esaltarne i sapori e di garantirne una meravigliosa consistenza, morbida e umida, come nessuna cottura tradizionale sarebbe in grado di produrre.

Il baccalà l’ho quindi cotto sottovuoto, a 58° per venti minuti, insieme alla scorza di limone e all’origano fresco, che donano al pesce un eccellente profumo e una nota di freschezza, condendolo poi a fine cottura solamente con un filo d’olio extravergine di oliva e con del sale marino.

Ho poi aggiunto al baccalà le briciole di spinaci, ottenute essiccandoli in forno a una temperatura di 70° e poi passandoli al tritatutto, in modo da ridurli, appunto, in briciole - non ho setacciato le briciole, preferendo lasciarle grezze e irregolari, cosa che ho ritenuto meglio si sposasse con la natura popolare del baccalà - aggiungendo poi anche i pinoli, tostati in padella con del sale marino, che danno croccantezza a un piatto altrimenti molto morbido.

La pelle del baccalà l’ho prima essiccata in forno, sempre a 70°, e poi fritta in olio di semi di arachide e quindi salata, in modo da ottenere delle chips, da potersi sgranocchiare.

Con il liquido rilasciato in cottura dal baccalà, invece, ho preparato una maionese, procedendo come per quella tradizionale (la maionese, lo ricordo, è un'emulsione stabile di proteine e grassi, per cui si può usare, al posto delle uova, qualsiasi liquido che abbia un contenuto significativo di proteine), usando quindi qualche goccia di limone e l’olio di semi di arachide, preferito a quello extravergine di oliva, che le avrebbe conferito un sapore troppo deciso e in parte pungente.

Infine, per avere una nota fresca, un cremoso di melagrana, lavorato completamento a freddo, leggermente acidulato con dell’aceto di mele e addensato usando la gomma di xantano, per il quale vi sarà d’aiuto un estrattore per succhi, anche se potrete cavarvela anche con un classico spremi agrumi.

16 ottobre 2019

Crudo di calamaro, pinoli tostati e pesto di finocchietto selvatico e origano



Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

La storia è sempre la stessa: moglie e figlia (il figlio grande oramai è in quel di Milano, per cui non ho più alleati) mi chiedono dei calamari alla griglia per cena e io ne compro sempre un po’ di più, con il solo scopo di farci qualcosa di diverso, per accompagnare e accompagnare la richiesta della famiglia.

Questa volta, come peraltro già fatto più volte in passato, ho usato i calamari a crudo, ricavandone una sorta di spaghetti - o meglio, tonnarelli, vista la loro sezione - che ho condito con sale marino, pepe di Sichuan e un olio profumato con finocchietto selvatico e origano fresco.

Ad accompagnare i calamari, i pinoli, tostati in padella con un poco di sale marino e un pezzetto di pane carasau, che fa da base al piatto e aggiunge anch’esso croccantezza.

Per quanto riguarda i calamari, cercate di prenderli piccoli, in modo che i tonnarelli risultino di piccole dimensioni e siano più gradevoli e cedevoli al morso.

Tutto qui, per un piatto velocissimo e che non richiede tecniche particolari.

10 ottobre 2019

Metamorfosi di pizza, prosciutto e fichi



Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Si, lo so, il nome del piatto è quasi una blasfemia, ma oggi mi sentivo così…

Il richiamo è lontano, marino, ma spero si colga la similitudine con una delle merende più amate, almeno da noi romani, soprattutto quando arriva il fico settembrino, piccolo e dolce come solo lui sa essere.

Qui, come potete vedere, della ricetta originale sono rimasti solo i fichi, mentre il prosciutto l’ho sostituito con il gambero rosso di Anzio e la pizza con il pane carasau, più sottile e delicato.

Con i gamberi rossi ci ho fatto una tartare, profumata con la polvere di liquerizia, ricavata grattugiando finemente la sua radice, poi condita solamente con olio extravergine di oliva, sale marino e qualche fogliolina di origano fresco, profumatissimo (se non lo trovate, meglio scegliere un’altra erbetta fresca, piuttosto che sostituirlo con quello secco, troppo forte nel sapore)

Tutti gli altri ingredienti li ho usati al naturale e, nello specifico dei fichi, ho lasciato loro la buccia, che a mio avviso è così parte integrante della loro bontà che ritengo sacrilega la sua eliminazione.

Ricetta velocissima e semplice, quindi, perfetta come piatto di benvenuto o per accompagnare un aperitivo.

Tartare di filetto al timo, ricotta di bufala all’arancia, gelatina di piselli



Se il pesce crudo riveste il ruolo di attore primario delle mie ricette, la carne lo segue, a qualche distanza, ma lo segue, visto che, pur non amandola come amo gli amici del mare, ogni tanto la preparo, più per far fronte alle richieste della famiglia che per me, ma la preparo e, ogni volta che vado in macelleria, ne prendo sempre un pochino in più, quasi sempre per dedicarla a qualche preparazione a crudo.

Questa volta, visto che a moglie e figlia era venuta una voglia di filetto, ho deciso per una tartare, con la carne lavorata al coltello e condita solamente con olio extravergine di oliva, pepe di Sichuan, timo fresco e fiocchi di sale marino - ho usato i fiocchi di sale della Cornovaglia - che danno, al contempo, sapidità e croccantezza.

Poi la ricotta di bufala, lavorata insieme alla scorza di arancia e a un poco di pepe bianco, e una gelatina di piselli freschi - la ricetta l’ho preparata qualche tempo fa, quando era la loro stagione - cotti in acqua bollente e poi lavorati solamente con la loro acqua di cottura e un poco di sale, addensando poi il composto con la gelatina alimentare.

14 settembre 2019

Gambero rosso, gelatina di acqua di pomodoro, stracciatella, finocchietto e pepe di Sichuan

Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Ultimamente vedo che l’abbinamento crostacei-burrata-stracciatella va sempre più di moda, cosa che, come in tutte le cose, solleva lodi e critiche in egual misura.

Personalmente, l’abbinamento mi piace molto, soprattutto con il gambero rosso, che ha un sapore molto deciso e sicuramente più intenso delle altre varietà di gamberi, cosa che lo rende, a mio avviso, un buon compagno della stracciatella, morbida e delicata.

Quindi, visto che le mode ogni tanto vanno seguite, un piatto dove il gambero rosso, quello di Anzio e rigorosamente a crudo, condito solamente con olio extravergine di oliva e sale marino, si accompagna alla stracciatella e a una gelatina fatta con l’acqua di pomodoro, ricavata mediante decantazione e con tanta pazienza, da alcuni meravigliosi pomodori - vi assicuro che raramente ne ho mangiati di così buoni - che mi sono stati regalati da un’amica.

Completano il piatto, il finocchietto selvatico e il pepe di Sichuan, più delicato di quello tradizionale (in realtà quello di Sichuan non è propriamente una varietà di pepe, ma oramai lo si chiama così data la sua somiglianza con i classici grani).

4 settembre 2019

Palamita, brunoise di verdure croccanti, tamarindo, cetriolo, finocchietto e timo

Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Tutto è nato dall’aver trovato, sugli scaffali di un supermercato, un estratto di tamarindo (quello di Carlo Erba), che confesso cercavo da tempo, senza troppa convinzione di poterlo trovare.

Per dirla tutta, non è che a me il tamarindo piaccia, almeno non come classico preparato per farci una bevanda, per molti tonica e rinfrescante, per me semplicemente amara. Mi intrigava, però come elemento per un piatto, dove la sua amarezza potesse creare un bel contrasto con quello degli altri elementi.

Per cui, forte di questa convinzione, e amante smodato del pesce crudo, l’ho utilizzato per un piatto, dove la palamita - rigorosamente di Anzio e presa, al solito, nella pescheria Amore di Mare - ha il ruolo di protagonista.

Il palamita, a crudo, come vi dicevo, tagliato in piccoli cubetti e condito solamente con olio extravergine di oliva, sale marino e un pizzico di pepe di Sichuan.

Insieme alla palamita, una brunoise di verdure a crudo - carota gialla, zucchina romanesca e cetriolo - condita con un filo di olio extravergine, sale marino e del timo fresco, che dà freschezza e croccantezza.

Infine, come elemento liquido, l’estratto di tamarindo, ingentilito nel suo sapore amaro dal succo di cetriolo, ricavato usando un estrattore per succhi (andrà bene anche una centrifuga), e da qualche goccia di aceto di mele, che aggiunge una leggera nota acida e accentua ancor di più la sensazione di freschezza.

Completa il piatto qualche punta di finocchietto selvatico fresco, aggiunte al momento dell’impiattamento e che donano il loro profumo inconfondibile.

25 agosto 2019

Il mio menù per il contest “Latti da mangiare 5.0”



Dopo l’esperienza dello scorso anno, ho deciso di accettare nuovamente la sfida e partecipare anche all’edizione 2019 del Contest Lattidamangiare 5.0, organizzato da Palagiaccio.

Come nella scorsa edizione, il tema centrale della sfida sono stati i formaggi e, ancora una volta, il Mugello, nelle sue diverse varianti:

  • Gran Mugello, a pasta semi cotta, stagionato nelle Grotte Ubaldine che si trovano in profondità, proprio sotto le fondamenta della torre merlata della Villa Palagiaccio;
  • Fior di Mugello, a pasta liscia e compatta, disponibile sia fresco che stagionato per 4 mesi;
  • Blu Mugello, a pasta cremificata, con una decisa muffatura e dal sapore veramente particolare.

Il regolamento del contest prevedeva due piatti, uno salato e uno dolce, la cui preparazione era tuttavia regolamentata: il piatto salato poteva essere un risotto o una pizza gourmet, mentre il dolce doveva essere al cucchiaio, con esclusione però del gelato.

Inutile dire che in entrambi i piatti il formaggio dovesse avere un ruolo centrale e che ogni piatto dovesse quindi essere costruito attorno ad esso, cosa che mi è venuta facile, dato il mio amore smodato per i formaggi - tutti, senza esclusione alcuna - che peraltro mi rimanda sempre e inevitabilmente alla mia adolescenza, dove le merende con pane e formaggio erano di fatto la norma.

Dopo lunga e tormentata riflessione, soprattutto sul dessert, tipologia di piatto che non amo particolarmente e, soprattutto, preparo molto raramente, ho deciso, innanzitutto, di scegliere il risotto rispetto alla pizza - amo la pizza, ma sono di gran lunga più bravo a mangiarla che a prepararla – e poi, come dolce, una variazione della classica panna cotta.

I due piatti che ho preparato sono stati, quindi:

Risotto con Fior di Mugello, spinaci in due consistenze, tuorlo fritto e pinoli tostati

Panna cotta al Blu Mugello, noci Pecan, miele di castagno, cremoso di pera e menta e pepe di Sichuan

24 agosto 2019

Panna cotta al Blu Mugello, noci Pecan, miele di castagno, cremoso di pera e menta e pepe di Sichuan



Con questa ricetta partecipo al Contest Lattidamangiare 5.0, organizzato da Palagiaccio


Dopo la prima ricetta, ecco la seconda che completa il menù previsto dal regolamento, un menù ovviamente basato sui formaggi, nello specifico le diverse varietà del Mugello, prodotti da Palagiaccio.

Se per il primo piatto la scelta è stata tutto sommato facile - non sono un amante dei risotti, ma comunque mi piacciono - per il dessert è stata tutt’altra cosa, visto che chi mi segue sicuramente saprà che non sono la mia specialità e, peraltro, neanche mi piacciono più di tanto, visto che prediligo di gran lunga i piatti salati su quelli dolci.

Comunque, regolamento docet, per cui, dopo un iniziale orientamento su un gelato, subito accantonato dopo rilettura del regolamento - benedetto fu il dubbio e la successiva verifica - ho ripiegato su una variazione della classica panna cotta, dato che il contest prevedeva comunque un dolce al cucchiaio.

La panna cotta, quindi, preparata usando il Blu Mugello, un erborinato dal sapore deciso e pungente, a rigor di logica poco adatto a una preparazione dolce, ma d’altronde, si sa, preferisco sempre percorrere le strade curvilinee piuttosto che quelle dritte e confortevoli.

Poi, da amante dei formaggi, non ho potuto non aggiungere tutti quegli elementi che a mio avviso ben si sposano con loro, elementi che naturalmente ho dovuto rileggere in chiave di dessert.

Per prima cosa, le noci, scelte nella varietà Pecan, grossolanamente sminuzzate e legate con il miele di castagno, che con il suo sapore deciso e piacevolmente amarognolo, ben si sposa con i formaggi, soprattutto con quelli erborinati.

Poi le pere, nella varietà Coscia, dalle quali ho estratto il succo usando un estrattore e con il quale ho preparato un cremoso, lavorato completamente a freddo, addensandolo usando la gomma di xantano. Durante l’estrazione del succo, ho anche aggiunto qualche fogliolina di menta, in modo da avere una nota aromatica, che desse maggior freschezza al tutto.

Per ultimo, il pepe di Sichuan, che ha un sapore meno deciso rispetto al pepe tradizionale, ad aggiungere una nota pungente al dessert, accentuando ancor di più il gioco complessivo di contrasti.

23 agosto 2019

Risotto con Fior di Mugello, spinaci in due consistenze, tuorlo fritto e pinoli tostati

Con questa ricetta partecipo al Contest Lattidamangiare 5.0, organizzato da Palagiaccio


Come per le edizione precedenti - e non poteva essere diversamente - il tema del concorso era il formaggio e, nello specifico, le diverse varietà di Mugello, un formaggio splendido, dal sapore intenso e particolare, che a mio avviso lo rende quasi unico nel panorama caseario nazionale.

Potendo scegliere tra tipi di formaggio - Fior di Mugello, Gran Mugello e Blu Mugello - il regolamento del contest prevedeva la preparazione di un menù di due piatti: un piatto salato, da potersi scegliere tra una pizza gourmet e un risotto e un dolce al cucchiaio 8ad esclusione del gelato).

Direi che la scelta è stata di fatto obbligata, dato che la pizza, pur essendo uno dei miei piatti preferiti da mangiare, non lo è certo per quanto riguarda le mie abilità preparatorie (ma prima o poi proverò a rimediare…), motivo per cui ho scelto il risotto.

Dopo un gradevolissimo assaggio dei tre formaggi, ho deciso per il più cremoso - il Fior di Mugello - dal sapore comunque intenso, che ho ritenuto il migliore per il piatto che avevo in mente, lasciando quindi agli altri due il compito di sacrificarsi per il dolce, che presenterò in una successiva ricetta.

Ad accompagnare il formaggio, gli spinaci, lavorati in due consistenze, con una parte liquida, ricavate usando un estrattore per succhi (data la consistenza degli spinaci, qui la centrifuga è decisamente meno adatta) e una secca, ottenuta essiccando gli spinaci in forno a una temperatura di 70° e poi riducendoli in polvere, setacciate per avere una consistenza molto fine.

Poi, quasi a non voler mollare la mia romanità, il tuorlo d’uovo fritto, che mantiene il cuore liquido e che, quando rotto, ricorda la deliziosa cremina della carbonara. Ovviamente, ho aggiunto il tuorlo solo al momento dell’impiattamento, lasciando agli ospiti il compito di romperlo per apprezzarne l’interno.

A completare il piatto, come elemento croccante, che personalmente non faccio mai mancare nelle mie ricette, i pinoli tostati al sale, che peraltro ricordano un altro piatto piuttosto tradizionale, quegli spinaci con pinoli, uvetta e burro, che da giovane mi facevano impazzire.

Per quanto riguarda la preparazione, ho utilizzato un riso di varietà Carnaroli, tostato a secco, senza utilizzare grassi né tantomeno sfumare con il vino, portato poi a cottura usando un brodo vegetale.

Il formaggio l’ho unito quando mancavano circa due minuti alla cottura e poi, a fiamma spenta, prima o mantecato con del burro, freddo da frigorifero in modo da accentuare lo shock termico, cosa che facilita l’azione della componente grassa. Non ho volutamente usato il parmigiano, dato che ho ritenuto il sapore del Fior di Mugello più che sufficiente a rendere ricco il risotto.

Per quanto riguarda gli spinaci, la parte liquida l’ho unita nella seconda fase della mantecatura, sempre a fuoco spento, quindi, per evitare che il calore eccessivo e prolungato portasse gli spinaci all’ossidazione; la parte secca, invece, l’ho usata durante l’impiattamento, forse più come elemento di guarnizione che per dare sapore vero e proprio.

Il tuorlo, dopo averlo delicatamente impanato, l’ho fritto per venti secondi in olio di semi di arachide, portato alla temperatura di circa 145° (temperature più alte rischierebbero di far scoppiare il tuorlo), e poi aggiunto a riso già impiattato.

I pinoli, infine, tostati in padella con del sale marino, tritati molto grossolanamente al coltello e, come gli spinaci secchi, aggiunti durante l’impiattamento, in modo da lasciarli ben visibili e, allo stesso tempo, evitando che l’umidità del risotto ne rovinasse la croccantezza.

L’attrezzatura necessaria per la preparazione del piatto è assolutamente standard, senza oggetti particolari, se non l’estrattore per succhi, mentre qualche accortezza sarà necessaria per la frittura dei tuorli, da fare all’ultimo e lavorando in parallelo con la cottura del riso.

26 giugno 2019

Linguine con burrata e pesto di finocchietto selvatico, alici e pinoli



Avendo da poco piantato dei semini di finocchietto selvatico, ed avendo questo superato ogni mia più rosea aspettativa, crescendo rapidamente e in salute, mi sono dovuto giocoforza dilettare in qualche ricetta che lo utilizzasse, pena farlo morire lentamente, nella solitudine del mio balcone.

A questo giro, un primo piatto, dove il finocchietto è la base di un pesto, lavorato al mortaio, insieme alle alici sotto sale, a un poco d’aglio, ai pinoli e, naturalmente, all’olio extravergine di oliva.

Il pesto così realizzato, l’ho poi utilizzato dopo la mantecatura, a fuoco spento, in modo da non mortificarlo con una seppure minima cottura, che avrebbe portato all’immancabile ossidazione del finocchietto, con evidenti conseguenze sul colore e sul sapore.

A completare il piatto, la burrata, della quale ho utilizzato la parte interna, la cosiddetta stracciatella, unita alla pasta durane la mantecatura, giusto il tempo per farla sciogliere e prima di unire il pesto.

Piatto semplice e veloce, quindi, che non richiede tecniche particolari, se non un po’ di abilità nell’uso del mortaio.

25 giugno 2019

Il tonno che volle farsi salmone


Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Avendo trovato un bellissimo tonno sui banchi della pescheria Amore di Mare,  la mia preferita in quel di Anzio - altro che quei filetti di tonno che arrivano dall’oceano indiano, spesso pure colorati per renderli invitanti - ho deciso per una preparazione a crudo, che se da un lato non è certo una novità per me, dall’altro è quella che consente di apprezzare al meglio la qualità del pesce locale.

Volendo giocare con i colori e i sapori, ho lasciato marinare il tonno nello Spritz, cosa che non solo ha donato al pesce un piacevole retrogusto, ma anche un colore che quasi ne nasconde la provenienza e che, appunto, ha ispirato il nome del piatto, che volendolo tradurre nella sua forma estesa, diventerebbe

Carpaccio di tonno, marinato allo Spritz, con finocchietto selvatico, pistacchi e cremoso di finocchio

Il tonno, come vi dicevo, l’ho marinato per quattro ore in una versione leggermente ingentilita dello Spritz, nella sua versione con l’Aperol, rispettandone le dosi ma aggiungendo anche un cucchiaino di zucchero di canna, per ingentilirne leggermente il sapore, visto che non volevo questo fosse troppo deciso e alcolico, sovrastando quello del tonno.

Dopo la marinatura, ho condito il carpaccio solamente con olio extravergine di oliva, sale marino a grana media, qualche punta di finocchietto selvatico e, infine, un poco di granella di pistacchi, che donano anche croccantezza.

Ad accompagnare il tonno, un cremoso di finocchio, preparato estraendone il succo, cosa per la quale vi servirà necessariamente una centrifuga per succhi o un estrattore, rendendolo leggermente acidulo con un goccio di aceto di mele e poi addensandolo con la gomma di Xantano.